venerdì 30 settembre 2011

Due sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo

Nei giorni scorsi la Corte europea dei diritti dell'uomo (rispettivamente Seconda e Quinta Sezione) ha emesso due sentenze, ancora non definitive, nelle cause H.R. c. Francia e Lokpo e Touré c. Ungheria, entrambe rilevanti ai nostri fini.

Nel primo caso la Corte ha stabilito che il rinvio in Algeria da parte delle autorità francesi di un uomo condannato nel suo Paese al carcere a vita per ragioni legate al terrorismo sarebbe in violazione dell'art. 3 della Convenzione. Lo stato di emergenza in Algeria, che aveva dato vita a numerose denunce da parte di organizzazioni internazionali per casi di tortura ai danni dei sospettati di terrorismo, è stato sollevato nel febbraio 2011. Tuttavia, secondo la Corte è passato ancora troppo poco tempo per poter escludere oggi l'esistenza di queste pratiche.

Nel secondo caso, la Corte ha stabilito che il trattenimento per 5 mesi, da parte dell'Ungheria, di due richiedenti asilo ivoriani è stato in violazione dell'art. 5 della Convenzione, in particolare per la mancanza di motivazione.


Vai alla sentenza H.R. c. Francia
Vai alla sentenza Lokpo e Touré c. Ungheria
Vai al comunicato della Corte europea dei diritti dell'uomo (1)
Vai al comunicato della Corte europea dei diritti dell'uomo (2)
Va al comunicato dell'Hungarian Helsinki Committee

giovedì 29 settembre 2011

Comunicazione della Commissione su cooperazione nel partenariato orientale

Il 26 settembre la Commissione europea ha pubblicato una Comunicazione dal titolo "La cooperazione nel settore della giustizia e degli affari interni all'interno del partenariato orientale", in cui avanza proposte volte ad "approfondire ulteriormente la cooperazione politica e operativa verso la creazione di uno spazio comune GAI tra l'Unione europea e i suoi partner orientali".

Fanno parte del c.d. partenariato orientale, istituito nel 2009, l'Armenia, l'Azerbaigian, la Bielorussia, la Georgia, la Moldova e l'Ucraina.
Obiettivo del partenariato è quello di "accrescere la mobilità dei cittadini in un ambiente sicuro e ben gestito".

Per quanto di nostro interesse, nella Comunicazione si dice che (punto 3.1.5) "La maggior parte dei paesi del partenariato orientale hanno realizzato progressi nell'adozione della legislazione diretta a fornire protezione internazionale a chi ne ha bisogno. Sussistono tuttavia notevoli carenze per quanto riguarda sia i quadri normativi che la loro attuazione."
L'UE inoltre continuerà, laddove necessario in cooperazione con l'Ufficio europeo di sostegno per l'asilo, "ad assistere questi paesi nell'ulteriore sviluppo degli organismi e nella formazione del personale preposto a espletare le procedure di determinazione dello status di rifugiato, fornendo inoltre sostegno allo sviluppo di politiche nazionali per l'integrazione dei rifugiati."

La Comunicazione inoltre ci ricorda che (punto 3.2) Frontex "ha firmato accordi operativi con le autorità competenti di Moldova, Georgia, Ucraina e Bielorussia, in esito ai quali le guardie di frontiera di questi paesi partecipano già in qualità di osservatori a operazioni congiunte coordinate da Frontex e beneficiano di alcune delle offerte di formazione"


Vai alla Comunicazione della Commissione La cooperazione nel settore della giustizia e degli affari interni all'interno del partenariato orientale

mercoledì 28 settembre 2011

Il Regolamento Dublino e i diritti fondamentali - Corte di Giustizia UE

Il 22 settembre sono state rese note le Conclusioni dell'Avvocato Generale presso la Corte di Giustizia UE in due cause riunite (C-411/10 N.S. e C-493/10 M.E. e altri) sull'interpretazione del Regolamento Dublino, sottoposte alla Corte di Lussemburgo, rispettivamente, da un giudice del Regno Unito e uno irlandese.
Tali Conclusioni, per quanto non vincolanti, sono ovviamente molto importanti in vista della sentenza della Corte, che arriverà più avanti.

Le cause che hanno originato queste due richieste riguardano alcuni richiedenti asilo che, avendo presentato domanda nel Regno Unito o in Irlanda dopo essere stati arrestati in Grecia per ingresso clandestino, dovrebbero essere trasferiti in quest'ultimo Stato ai sensi del Regolamento Dublino.

I giudici, consapevoli del rischio per i richiedenti asilo di subire una violazione dei loro diritti fondamentali a causa della saturazione del sistema greco di asilo hanno chiesto, in sostanza, alla Corte di Giustizia di stabilire se e a quali condizioni gli Stati membri possano, o debbano, in base all'art. 3 (2) del Regolamento Dublino ("clausola di sovranità") farsi carico dell'esame di una domanda di asilo, nonostante la responsabilità primaria sia di un altro Stato, qualora il trasferimento verso quest'ultimo esporrebbe il richiedente asilo a un rischio di violazione dei suoi diritti fondamentali.

Vale la pena sottolineare alcuni passaggi delle Conclusioni dell'Avvocato Generale nella causa C-411/10:
  • nel decidere se esaminare o meno una domanda di asilo per la quale non sarebbero responsabili, gli Stati membri devono rispettare la Carta dei Diritti Fondamentali dell'UE (§ 83);
  • il "Sistema Dublino" non tiene conto delle differenze nei sistemi di asilo dei vari Stati né del trattamento del richiedente asilo nello Stato verso cui deve essere rinviato. Ciò, sulla carta, non è contrario alla Carta dei Diritti Fondamentali UE, né alla Convenzione di Ginevra o alla CEDU. Infatti, tutti gli Stati sono tenuti a rispettare norme minime fissate nelle Direttive UE (Accoglienza, Qualifiche, Procedure) e tutti hanno aderito ai trattati internazionali rilevanti in materia (§ 95);
  • tuttavia, è evidente che il sistema greco (come rilevato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo in M.S.S. c. Belgio e Grecia) è sottoposto a una pressione considerevole, a causa della quale non può più essere garantito che i richiedenti asilo saranno trattati in conformità con le rilevanti Direttive UE e non può escludersi che i richiedenti rinviati in Grecia ai sensi del Regolamento Dublino andranno incontro a trattamenti proibiti dalla Carta dei diritti fondamentali UE, dalla Convenzione di Ginevra e dalla CEDU (§ 105);
  • poiché gli Stati devono applicare il diritto UE in una maniera conforme ai diritti fondamentali e poiché l'art. 3 (2) del Regolamento Dublino riconosce loro un margine di manovra tale da permettere tale applicazione conforme ai diritti fondamentali, gli Stati membri sono obbligati ad esercitare il loro diritto a esaminare una domanda di asilo, qualora via sia un rischio di violazione dei diritti del richiedente asilo in caso di rinvio (§ 119, 122, 127);
  • al contrario, rischi di violazione di singole disposizioni delle Direttive UE in materia, ma che non costituiscano anche violazione dei diritti fondamentali, non bastano a creare tale obbligo sullo Stato membro che trasferisce il richiedente (§ 123);
  • l'applicazione del Regolamento Dublino sulla base della presunzione inconfutabile che i diritti del richiedente asilo nel secondo Stato membro saranno rispettati è incompatibile con l'obbligo degli Stati di applicare il Regolamento Dublino in maniera conforme ai diritti fondamentali. Ciò non significa che, in linea di principio, non si possa procedere sulla base di una simile presunzione, a patto che sia data al richiedente la possibilità concreta di contestarla (§ 131, 133, 136);
  • leggi interne che prevedano, qualora la decisione di trasferire un richiedente asilo ai sensi del Regolamento Dublno sia riesaminata, che i giudici devono partire dalla presunzione inconfutabile che lo Stato responsabile non espellerà il richiedente verso un Paese in violazione della Convenzione di Ginevra e della CEDU sono incompatibili con l'art. 47 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'UE (diritto a un ricorso effettivo) (§ 164)

Ricordiamo ancora una volta che la Commissione europea ha inserito, nella sua proposta di rifusione del Regolamento Dublino – sulla quale ben pochi passi avanti sono stati fatti in sede di negoziati – un meccanismo di sospensione dei trasferimenti di richiedenti asilo verso un Paese in caso di pressione eccezionale sul suo sistema di asilo o di non conformità degli standard di protezione con il diritto UE.

Ad una prima lettura, le Conclusioni dell'AG sembrano indicare requisiti più stringenti (violazione dei diritti fondamentali), ma è comunque chiarissima sul principio: non vi è possibilità di "fiducia cieca" fra gli Stati membri, ogni presunzione di rispetto dei diritti fondamentali nel Paese responsabile per l'esame della domanda deve essere confutabile. 
E il Regolamento Dublino contiene già al suo interno le regole (in particolare l'art. 3 § 2) che permettono agli Stati di applicarlo in maniera compatibile con la protezione dei diritti fondamentali (§ 119).


Vai al comunicato stampa della Corte di Giustizia UE

lunedì 26 settembre 2011

Consiglio GAI 22 e 23 settembre - Nessun progresso sul Regolamento Dublino

Il 22-23 settembre si è svolto il Consiglio Giustizia e Affari Interni.
Per quanto di nostro interesse, il Consiglio ha discusso lo stato dell'arte dei negoziati sul rinnovo degli strumenti del "pacchetto asilo".

Nel comunicato stampa del Consiglio viene detto che l'attenzione si è concentrata soprattutto sul Regolamento Dublino e, in particolare, sul "meccanismo di valutazione" che, nelle intenzioni della Presidenza polacca (la Polonia è presidente di turno del Consiglio UE fino alla fine dell'anno), dovrebbe servire a prevenire le crisi dei sistemi di asilo.

Tale meccanismo avrebbe un duplice obiettivo: creare fiducia reciproca fra gli Stati e funzionare come meccanismo di allerta, al fine di essere preparati a eventuali crisi e facilitare così le decisioni sull'attivazione del "meccanismo di emergenza", contenuto invece nella proposta della Commissione europea di rifusione del Regolamento Dublino II e attualmente osteggiato dalla maggioranza degli Stati membri.

Ricordiamo che il "meccanismo di emergenza" proposto prevede la possibilità per la Commissione di sospendere temporaneamente tutti i trasferimenti di richiedenti asilo ai sensi del Regolamento Dublino verso un Paese, qualora questo si trovi in una situazione di particolare pressione sul suo sistema di asilo, ovvero qualora il livello di tutela nel Paese in questione non sia conforme alla legislazione UE (con riferimento soprattutto agli standard delle Direttive Accoglienza e Procedure).

Secondo il comunicato stampa del Consiglio, l'idea di un meccanismo di valutazione è stata ben accolta, mentre la maggioranza degli Stati continua a rifiutare il meccanismo di emergenza, anche se accompagnato dal meccanismo di valutazione.

Anche il blog della Commissaria Malmström fa un breve resoconto dell'incontro. E, ancor più chiaramente, ci dice che è andata piuttosto male.  


Non direttamente collegato al tema dell'asilo: il Consiglio non è riuscito a trovare l'accordo necessario per allargare l'area Schengen a Romania e Bulgaria.



Vai al comunicato stampa del Consiglio
Vai al Regolamento Dublino
Vai alla proposta della Commissione di rifusione del Regolamento Dublino

venerdì 23 settembre 2011

Il turno (saltato?) dell'Europa - Amnesty, la Libia e il reinsediamento

Amnesty International ha diffuso una nota informativa in cui punta il dito contro l'immobilismo degli Stati dell'Unione europea nei confronti di migliaia di rifugiati bloccati in Tunisia ed Egitto, in zone limitrofe al confine con la Libia.

La nota, dal titolo "Europe, now it is your turn to act", ricorda che, secondo l'UNHCR, al momento dello scoppio della guerra, si trovavano in Libia "circa 8.000 rifugiati riconosciuti e circa 3.000 richiedenti asilo", provenienti soprattutto da Paesi del Corno d'Africa, ma anche da Costa d'Avorio e Irak.
Si tratta di persone che non possono tornare nei rispettivi Paesi di origine per via dei rischi che correrebbero e a cui né Egitto né Tunisia possono offrire soluzioni durature. Né il ritorno in Libia può essere considerato una valida alternativa.
L'unica opzione per loro è dunque il reinsediamento.

Che tuttavia, come si sa, non è un obbligo per gli Stati di destinazione, bensì un atto di buona volontà.
Non ci sorprende troppo, dunque, leggere nella nota di Amnesty che la risposta degli Stati dell'UE è stata fin qui "totalmente inadeguata".

Del resto, secondo le stime dell'UNHCR (Global Trends 2010), le persone che nel mondo necessitano di reinsediamento sono, nel 2011, più di 800.000, mentre la quota annuale offerta dagli Stati arriva ad 80.000 posti.
Nel 2010, sempre secondo l'UNHCR, sono state reinsediate 98.800 persone, di cui 71.400 negli Stati Uniti, 12.100 in Canada e 8.500 in Australia...


Si noti che nel 2009 la Commissione europea ha presentato una Comunicazione sull'istituzione di un programma comune di reinsediamento UE.
Tale programma comune, basato su una modifica della Decisione FER III che riconoscerebbe assistenza finanziaria agli Stati che provvedono al reinsediamento conformemente a delle priorità annuali comuni, avrebbe comunque come principio-guida il fatto che "la partecipazione degli Stati membri al reinsediamento dovrebbe restare volontaria".



Vai alla nota informativa di Amnesty
Vai alla Comunicazione sull'istituzione di un programma comune di reinsediamento UE
Vai alla proposta della Commissione di modifica della Decisione FER III

Diritti umani in tempo di austerità - Il Commissario per i diritti umani Hammarberg in Irlanda

Il Commissario per i Diritti Umani del Consiglio d'Europa, Thomas Hammarberg, si è recato in Irlanda, ai primi di giugno, al fine di discutere con autorità ed esponenti della società civile irlandesi il tema della protezione dei gruppi vulnerabili in tempi di austerità
Il rapporto, con annessa la replica del governo irlandese, è stato pubblicato lo scorso 15 settembre.


Per quanto di nostro interesse, il Commissario esprime (§ 39) la sua preoccupazione riguardo alla durata delle procedure di asilo in Irlanda. Questo Paese, unico nell'Unione europea, ha una duplice procedura per l'esame, da un lato, dello status di rifugiato e, dall'altro, dello status di protezione sussidiaria (o il permesso di rimanere sul territorio per altri motivi). Due uffici diversi sono incaricati dell'esame e, mentre nel primo caso il tempo necessario per una risposta varia da otto a dieci settimane, nel secondo l'attesa si prolunga in media quattro anni.  Durante questo periodo, i richiedenti rimangono in centri di accoglienza e ricevono circa 19 euro alla settimana (9 i bambini). Si tratta di un sistema criticato da UNHCR e ONG per le sue conseguenze negative sull'integrazione.  


Le osservazioni del governo irlandese, in replica al report del Commissario, sono puntuali. Viene detto che, in media, il tempo necessario per arrivare a una decisione finale è stato, nell'ultimo anno, di dieci mesi.
Si procede quindi a un'utile descrizione delle attuali procedure. Le persone che si vedono rifiutare lo status di rifugiato entrano in una seconda procedura che considera se hanno diritto allo status di protezione sussidiaria o, in caso negativo, a un permesso di rimanere comunque sul territorio irlandese. Durante questa seconda procedura, separata da quella per lo status di rifugiato, l'esame ricomincia da zero. E' chiaro, continua la replica del governo, che non si tratta di una decisione che possa essere presa rapidamente, considerate le conseguenze sulla vita delle persone coinvolte.

Un progetto di riforma della legge, attualmente all'esame del Parlamento, prevede comunque l'introduzione di una procedura unica, più semplice e veloce.


NB: nonostante il Protocollo sulla sua posizione annesso ai Trattati UE le consenta di restare fuori dagli strumenti adottati dall'Unione europea nel campo dell'immigrazione e dell'asilo, l'Irlanda ha deciso di essere vincolata dalle Direttive Qualifiche e Procedure, non dalla Direttiva Accoglienza.

Vai al rapporto del Commissario dopo la sua visita in Irlanda

giovedì 22 settembre 2011

Frontex e le "mani sporche " dell'Unione Europea - Il rapporto di Human Rights Watch

Pochi giorni fa avevamo parlato della ormai prossima modifica del Regolamento Frontex.
Ieri, l'organizzazione non governativa Human Rights Watch ha pubblicato un lungo e interessante rapporto dal titolo "The EU's Dirty Hands: Frontex Involvement in Ill-Treatment of Migrant Detainees in Greece".

Il rapporto, incentrato sul dispiegamento di una squadra di intervento rapido (RABIT) nella zona del fiume Evros, al confine fra Grecia e Turchia, tra la fine del 2010 e l'inizio del 2011, si basa su una serie di visite sul campo, corredate da interviste con migranti, rifugiati e richiedenti asilo, funzionari della polizia greca e di Frontex. 

La situazione all'epoca era la seguente: a seguito di una richiesta delle autorità greche, incapaci di far fronte all'arrivo di numerosi migranti, il 2 novembre 2010 Frontex ha inviato in Grecia una squadra di intervento rapido (c.d. "RABIT"), composta da 175 guardie di frontiera provenienti dagli altri Paesi dell'area Schengen, oltre a varie attrezzature tecniche. 
La missione RABIT, originariamente prevista fino a dicembre, è stata poi prolungata fino a marzo e infine sostituita da una presenza permanente di Frontex (tramite l'operazione "Poseidon Land 2011"). 

Secondo il rapporto "General report 2011" di Frontex, la missione RABIT è stata un successo: da novembre 2010 a marzo 2011 si è registrato un calo del 76% nel numero dei migranti fermati durante un attraversamento irregolare del confine interessato.
HRW ci presenta ora l'altra faccia della medaglia.

Il rapporto ricorda innanzitutto come la sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo nel caso M.S.S. c. Belgio e Grecia, emanata proprio durante le attività RABIT in Grecia (benché non collegata ad esse), abbia, fra le altre cose, condannato il Belgio perchè, attraverso il rinvio in Grecia di un richiedente asilo, ha consapevolmente esposto quest'ultimo a condizioni di detenzione equiparabili a trattamenti degradanti.

Durante la missione RABIT, anche Frontex ha favorito in diversi modi il trasferimento di migranti in centri di detenzione in cui le condizioni, verificate da HRW, erano le stesse condannate dalla Corte di Strasburgo. Pertanto, secondo il rapporto, Frontex è responsabile per aver esposto migranti a trattamenti proibiti. Frontex, del resto, come emerge dal rapporto, era ben consapevole delle condizioni nei centri di detenzione in Grecia in quanto vi aveva condotto visite poco prima dell'invio della squadra RABIT. In quanto Agenzia dell'Unione, poi, Frontex deve rispettare la Carta dei diritti fondamentali dell'UE e, in particolare, il divieto di tortura o trattamenti disumani o degradanti (art. 4) nonché il diritto di asilo (art. 18).


Alla base di tutto c'è una contraddizione evidente. Ai sensi del Regolamento Frontex, la responsabilità per il controllo dei confini esterni è piena responsabilità degli Stati membri. Inoltre, gli "agenti distaccati" da altri Paesi durante una missione RABIT possono agire esclusivamente agli ordini delle guardie di frontiera dello Stato membro ospitante e non possono adottare provvedimenti di respingimento. Frontex ha solo il compito di facilitare l'applicazione delle misure in materia di gestione delle frontiere esterne, attraverso il coordinamento delle azioni degli Stati. 
 Tuttavia, emerge dal rapporto di HRW, è improbabile nella pratica che le autorità di uno Stato che, ammettendo l'incapacità di gestire il proprio confine, ha richiesto l'invio di squadre RABIT, finiscano poi per non seguire le indicazioni degli agenti dispiegati. O per lo meno, se una catena di comando esisteva, con a capo gli ufficiali greci, durante le visite di HRW nella regione di Evros, questo non era evidente.

Sebbene, dunque, sia vero che Frontex non ha alcun ruolo nella gestione (quindi negli standard) dei centri di trattenimento per migranti in Grecia, è altrettanto vero che i suoi agenti e i suoi responsabili sono ben a conoscenza della situazione, soprattutto all'interno di alcuni centri, e avrebbero potuto cercare soluzioni che permettessero che l'applicazione delle regole relative al dispiegamento della squadra RABIT avvenisse nel rispetto dei diritti fondamentali.

Ad esempio, suggerisce HRW, prendere in considerazione, per il trattenimento, centri in cui le condizioni di vita sono accettabili.

Pertanto, conclude il rapporto, le attività di Frontex che hanno favorito i trattenimenti nei centri di detenzione greci, hanno violato il divieto di trattamenti disumani o degradanti e dovrebbero dunque essere immediatamente sospese fino a che non siano state prese misure che assicurino che tale divieto assoluto non venga violato.

Sul sito di Frontex si può trovare una concisa replica al rapporto.


Vai al rapporto di HRW
Vai alla replica di Frontex
Vai al Regolamento Frontex
Vai al Regolamento che istituisce i RABIT e modifica Frontex
Vai al Comunicato stampa del Parlamento europeo su modifica Frontex

mercoledì 21 settembre 2011

Domande di asilo in crescita nell'UE - I dati di Eurostat

Con diverso ritardo, Eurostat rende noti i daTi relativi ai richiedenti asilo nei 27 Paesi UE, durante il primo quarto del 2011.
Si tratta di 65.930 persone, circa 4.000 in più rispetto allo stesso periodo del 2010. L'incremento è dovuto in buona parte al fatto che circa 2.300 tunisini hanno presentato domanda di protezione internazionale in febbraio e marzo 2011, contro i circa 100 nel primo quarto del 2010. Anche cittadini di Pakistan e Costa d'Avorio hanno presentato domanda di protezione in un numero decisamente più alto rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.

Il più alto numero di domande è stato presentato da cittadini afgani (5.765), seguiti da russi (4.140), iracheni (3.790) e serbi (3.775). I Paesi che hanno ricevuto più richieste sono invece la Francia (14.335), la Germania (12.035), il Belgio (7.450), il Regno Unito (6.360) e la Svezia (6.230). L'incremento più sostanzioso di richieste si registra in Germania (+2.700) e Italia (+1.300). Francia e Germania, da sole, hanno ricevuto il 40% delle domande presentate nei 27 Paesi UE.

Il rapporto analizza anche i dati relativi alle decisioni prese in prima istanza durante il primo quarto del 2011. In totale, nei 27 Paesi UE, su 55.620 domande esaminate (ovviamente non per forza presentate nello stesso periodo ma, più probabilmente, in periodi antecedenti), è stata riconosciuta una forma di protezione in 13.535 casi (il 24,3%). Nello specifico, lo status di rifugiato è stato riconosciuto nel 12,3% dei casi, lo status di protezione sussidiaria nell'8,2%, una protezione per ragioni umanitarie (sulla base di leggi nazionali) nel 3,8%. Quanto alle nazionalità, dal rapporto emerge come ai somali sia stata riconosciuta una forma di protezione nel 66% dei casi, agli iracheni nel 53%, agli afgani nel 44%.


Vai al rapporto di Eurostat

venerdì 16 settembre 2011

Italia - Approvato il Programma annuale 2011 Fondo europeo per i rifugiati (FER)

Il fatto che questo blog si occupi di novità a livello europeo non significa naturalmente che quanto a noi quotidianamente più vicino, cioè il livello italiano, non debba trovare anche qui il suo spazio. Ciò è ancor più vero in questi giorni, considerato il periodo "particolare" che chiunque si occupi di asilo in Italia sta sperimentando in prima persona. Io ad esempio non avrei mai immaginato di dover inserire fra i miei "preferiti" il sito della Protezione Civile...


Facendo dunque una piccola eccezione alla regola, ma in realtà senza allontanarci troppo dal tema oggetto di questo blog, il post di oggi è dedicato all'Italia e in particolare all'approvazione del "Programma annuale 2011 Fondo europeo per i rifugiati" (FER).
La notizia è stata pubblicata sul sito del Ministero dell'Interno.


La novità più importante la ricaviamo dall'ultima pagina ed è una novità di questi tempi così rara: i soldi aumentano. In particolare, secondo il Piano di finanziamento indicativo, si passerebbe dai circa dieci Milioni di euro del 2010 ai venti Milioni e mezzo di euro di quest'anno, di cui quattordici e mezzo di provenienza europea. 


Di questi venti milioni abbondanti, un pò più di undici sarebbero destinati ad Azioni finalizzate al rafforzamento delle misure di accoglienza, supporto ed integrazione rivolte direttamente ai richiedenti/titolari di protezione internazionale, appartenenti a "categorie vulnerabili" (Azioni 4, 5, 6) o meno (Azioni 1, 2, 3). L'obiettivo esplicito è quello di promuovere l'inserimento lavorativo dei titolari di protezione internazionale "quale categoria che soffre di una situazione di particolare svantaggio nell'attuale contesto di crisi economica che sta caratterizzando l'Unione Europea" (punto 3).


Otto milioni e mezzo di euro sono stati invece richiesti dallo Stato italiano per l'attuazione delle "misure d'urgenza", cioè quelle misure "attivate a seguito della crisi socio-politica scoppiata in Nord Africa a partire dal gennaio 2011 e della conseguente emergenza umanitaria prodottasi in Italia in relazione all'eccezionale afflusso di immigrati, formalizzata con il decreto del Presidente del Consiglio del 12 febbraio 2011" (punto 5.3) 

In particolare, le misure previste (affidate senza gara, in ragione dell'emergenza) riguardano:
- il potenziamento ed ampliamento delle attività di traduzione ed interpretariato svolte presso le Commissioni territoriali (Misura 1, 972.000 euro);
- servizi di accoglienza nei centri governativi coinvolti nell'emergenza (Misura 2, 6.190.500 euro per un totale di 716 beneficiari al costo di 48 euro pro die-pro capite per sei mesi);
- potenziamento della presenza di mediatori culturali nei centri governativi di accoglienza coinvolti dall'emergenza (Misura 3, 1.400.000 euro)


Le suddette misure legate alla fase di emergenza dovranno esaurirsi entro sei mesi dall'avvio.



Giova ricordare che, mentre nelle due prime fasi del FER ("FER I" 2000-2004 e "FER II" 2005-2007) i soldi confluivano nel Fondo Nazionale per i Servizi e le Politiche dell’Asilo, dunque sostanzialmente nello SPRAR, i fondi del "FER III" (2008-2013) hanno una destinazione autonoma. In particolare, come si legge nel sito del Ministero dell'Interno, essi sono destinati "non più all’attività istituzionale per l’accoglienza, realizzata con lo Sprar sulla base della legge 189/2002, ma ad azioni complementari, integrative e rafforzative di essa."  

Non abbiamo elementi sufficienti per esprimerci sul carattere integrativo e rafforzativo dello SPRAR degli interventi finanziati con i fondi FER, soprattutto in un contesto generale che sembra privilegiare la nascita di forme di accoglienza diverse. 

A tale proposito segnaliamo in chiusura che, nell'introduzione al Programma annuale 2011 FER, è stata eliminata una frase che apriva quello del 2010:
"[...] nell’ottica di una reductio ad unum delle misure in cui si articola il complessivo sistema nazionale di accoglienza e protezione".
L'idea di una reductio ad unum peraltro era l'obiettivo generale individuato dall'Italia nel programma pluriennale 2008-2013.
La necessità di rafforzare e ampliare lo SPRAR e di fare chiarezza fra i vari sistemi è sottolineata da anni da molti fra i principali attori del sistema di accoglienza italiano e, da ultimo, è stata recentemente riaffermata dal Commissario per i Diritti Umani del Consiglio d'Europa.



Vai al Programma Annuale 2011
Vai al testo della Decisione che istitusce il FER 2008-2013
Per informazioni sul FER vai al sito del Ministero dell'Interno
Per informazioni sullo SPRAR vai al sito del Servizio Centrale

giovedì 15 settembre 2011

La Presidenza del Consiglio chiede lumi sui negoziati

La Presidenza di turno del Consiglio dell'Unione (ruolo che spetta alla Polonia sino alla fine del 2011) ha prodotto un documento indirizzato ai membri del Comitato dei Rappresentanti Permanenti (COREPER) presso il Consiglio, dunque agli Stati membri, al fine di procedere nei negoziati sulla revisione degli strumenti del Sistema europeo comune di asilo, nel rispetto della scadenza del 2012.


Il documento, che si concentra sulle situazioni di pressione particolare, chiede al Consiglio un parere su due punti importanti emersi nel corso dei negoziati sul "pacchetto asilo".
L'Unione, si dice, dovrebbe dotarsi di meccanismi 1) per prevenire situazioni di pressione particolare e 2) per gestire le crisi che non possono essere prevenute.


Con riferimento al primo punto, il documento propone un meccanismo per valutare la maniera in cui gli Stati membri applicano l'acquis nel campo dell'asilo e in particolare se possiedono la necessaria capacità di affrontare una situazione di accresciuta pressione. Ciò servirebbe, negli intenti del documento, a costruire fiducia fra gli Stati anche perché quelli in difficoltà sarebbero assistiti nello sviluppo di un piano d'azione, la cui implementazione sarebbe poi monitorata e valutata.


Quanto al secondo punto, il riferimento va al già proposto (dalla Commissione) meccanismo di emergenza per la sospensione (solo come extrema ratio) di alcuni trasferimenti in base al Regolamento Dublino. Ciò servirebbe a evitare che una situazione già ingestibile per un Paese sia peggiorata dall'applicazione delle regole di Dublino.
Si tratta di un punto delicatissimo per gli Stati membri e causa del sostanziale stallo nei negoziati con il Parlamento europeo sulla modifica del Regolamento Dublino.


A questo proposito giova sempre ricordare la sentenza di pochi mesi fa della Corte europea dei diritti dell'uomo nel caso M.S.S. c. Belgio e Grecia.




Vai al documento della Presidenza di turno del Consiglio dell'Unione

mercoledì 14 settembre 2011

Il Parlamento europeo approva proposta di modifica a Frontex

Il Parlamento europeo ha approvato ieri, martedì 13 settembre, la proposta della Commissione di modifica del Regolamento Frontex, già precedentemente modificato nel 2007 limitatamente all'introduzione di un meccanismo per la creazione di squadre di intervento rapido alle frontiere (RABIT). 

Il testo di modifica del Regolamento n. 2007/2004, su cui già si era trovato un accordo politico fra Parlamento europeo e Consiglio prima dell'estate, dovrà ora essere formalmente adottato da quest'ultimo. 
Ad adozione avvenuta dedicheremo un piccolo spazio all'approfondimento.  


Vai al comunicato stampa della Commissione europea
Vai alla Risoluzione del Parlamento europeo sulla proposta di modifica del Regolamento Frontex

venerdì 9 settembre 2011

Lo stato dei negoziati sul "Pacchetto asilo"



In un post di un paio di giorni fa suo blog, Cecilia Malmström, Commissario europeo agli Affari interni, informa brevemente di uno scambio di opinioni avuto con il ministro polacco Miller (la Polonia è presidente di turno del Consiglio UE) e il Presidente della Commissione Libertà civili, giustizia e affari interni del Parlamento europeo, Juan Lopez Aguilar sullo stato dei negoziati per la modifica degli strumenti del "pacchetto asilo"

Ovviamente il Commissario non dice granché dell'incontro. Poche righe, che confermano quello che già si sapeva. Cioè che il Regolamento Dublino rappresenta l'ostacolo più duro, con molti Stati che contrastano la proposta della Commissione.
I negoziati sulle (nuove) proposte di rifusione delle Direttive Accoglienza e Procedure stanno invece facendo "piccoli ma costanti progressi".

Il post anticipa anche che nelle prossime settimane la Commissione presenterà proposte per rafforzare il Sistema Schengen.

mercoledì 7 settembre 2011

Visita in Italia del Commissario per i diritti umani - Il rapporto (e la replica)


Pubblicato il rapporto del Commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa, Thomas Hammarberg, a seguito della sua visita in Italia del 26 e 27 maggio scorsi.
Il report, basato su incontri avuti con rappresentanti delle istituzioni e della società civile italiana, si concentra su due aspetti:
1) protezione dei diritti umani di Rom e Sinti;
2) protezione dei diritti umani dei migranti, inclusi i richiedenti asilo.


Il rapporto è interessante e vale la pena leggerlo fino in fondo (risposta del Governo italiano compresa).
Qui ci limiteremo a riportare alcuni punti con riferimento al tema dell'asilo.

 Dopo aver riaffermato la necessità di una più forte solidarietà a livello europeo, il Commissario sottolinea come l'Italia debba comunque rispettare i propri obblighi internazionali in materia di diritti umani, una responsabilità che, nell'opinione del Commissario, non è stata pienamente adempiuta (§ 46).

Il rapporto tocca tre temi:


Le operazioni in mare:
  • Le autorità italiane hanno contribuito a salvare molte vite di migranti che tentavano di raggiungere l'Europa. Tuttavia, circa 1.500 persone sono morte da gennaio 2011 nel tentativo di attraversare il Mediterraneo e in certi casi le responsabilità devono ancora essere accertate. Il Commissario ricorda che il salvataggio di persone in pericolo in mare ha la precedenza su ogni altra considerazione. Esplicito il riferimento alle ripetute dispute fra Italia e Malta su chi debba intervenire.
  • Il Commissario ricorda che quando uno Stato esercita "controllo effettivo" su persone salvate o intercettate in mare (incluso in acque internazionali), ha l'obbligo di assicurare l'accesso alla procedura di asilo e di astenersi dal rinviare le persone verso Paesi dove sono a rischio di persecuzione o trattamento contrario all'art. 2 o all'art. 3 CEDU. Il riferimento principale è ai casi di "respingimento" verso la Libia avvenuti a partire dal maggio 2009 - c'è un caso (Hirsi e altri c. Italia) tuttora pendente davanti alla Grande Camera della Corte europea dei diritti dell'uomo. Tuttavia il Commissario nota anche come l'Italia abbia concluso con il Consiglio Nazionale di Transizione libico un memorandun d'intesa che prevede anche il rimpatrio di immigrati in posizione irregolare.
- Accoglienza dei migranti, inclusi i richiedenti asilo:
  • Alcuni centri all'interno dei quali sono ospitati i richiedenti asilo, a seguito dei recenti arrivi dal Nord Africa, non soddisfano gli standard minimi, soprattutto con riferimento al sostegno legale e all'assistenza psico-sociale. Vi è poi una mancanza di chiarezza riguardo alla natura giuridica di alcuni centri utilizzati.
  • Le autorità italiane dovrebbero prendere in considerazione un aumento dei posti di accoglienza nel sistema SPRAR e assicurare una migliore divisione dei compiti fra i progetti SPRAR e il sistema dei CARA 
- Integrazione dei beneficiari di protezione internazionale:
  • Benché sulla carta essi siano titolari, su un livello di parità con i cittadini italiani, di quei diritti sociali ed economici indispensabili per l'integrazione, nella pratica la mancanza di reti familiari o sociali e i difetti nella normativa e nelle prassi amministrative costituiscono "ostacoli insormontabili" alla loro autonomia. 
  • La capacità dello SPRAR di offrire servizi ai titolari di protezione internazionale andrebbe "considerevolmente rafforzata", con un maggior coinvolgimento delle Regioni e dei Comuni dove i progetti possono essere più efficaci e sostenibili
Abbiamo trovato la risposta del Governo italiano piuttosto faticosa da leggere e, ciò che più conta, un pò nebbiosa e dispersiva rispetto alle osservazioni, puntuali, del Commissario Hammarberg.


Mentre certi aspetti non secondari, come quelli relativi alle operazioni in mare, non trovano risposta (si aspetta la Corte di Strasburgo?), altri ne trovano una piuttosto evasiva. Come ad esempio quando, alla precisa richiesta di aumentare la capienza dello SPRAR, il Governo italiano risponde dicendo che i posti SPRAR sono aumentati dai 1.500 del 2005 ai 3.000 attuali...



Vai al rapporto del Commissario Hammarberg (en)
Vai ai Comunicati della Corte europea dei diritti dell'uomo sul caso Hirsi e altri c. Italia

lunedì 5 settembre 2011

Eurostat: Permessi di soggiorno rilasciati a cittadini non-UE nel 2009


Eurostat ha pubblicato il primo settembre i dati relativi ai nuovi permessi di soggiorno rilasciati dagli Stati membri UE e dai Paesi EFTA (Norvegia, Islanda, Svizzera e Liechtenstein) a cittadini di Paesi non UE nel 2009.
La pubblicazione Eurostat evidenzia come in quell'anno circa 2,3 milioni di cittadini di Paesi non UE hanno ricevuto un'autorizzazione al soggiorno. Una diminuzione rispetto al 2008 (2,5 milioni).

Ai nostri fini, si segnala che purtroppo il rapporto non riesce a estrapolare i dati relativi alla protezione internazionale, inseriti nella categoria "Altro" (che peraltro conta un totale di più di 527.000 permessi rilasciati, cioè il 22,5% del totale).



NB: gli Stati membri sono obbligati a fornire a Eurostat i dati sulla base del Regolamento (CE) N° 862/2007.

domenica 4 settembre 2011

Nuova proposta della Commissione per la "Direttiva Procedure" - I commenti di ECRE

L'autorevole ONG con sede a Bruxelles ha pubblicato sul suo sito un'analisi molto approfondita della nuova proposta di rifusione della Direttiva Procedure, presentata dalla Commissione lo scorso 1^ giugno.

ECRE, che come molti altri ritiene la Direttiva attualmente in vigore molto problematica, aveva largamente apprezzato la proposta presentata dalla Commissione nel 2009 che tuttavia, come si sa, era finita impantanata nei negoziati.
Con riguardo alla nuova proposta, al contrario, ECRE nota diversi peggioramenti. Pur riconoscendo che rimane evidente il tentativo generale di migliorare la qualità delle decisioni prese in prima istanza, l'organizzazione nota come certe nuove previsioni, qualora effettivamente adottate, potrebbero seriamente compromettere il raggiungimento di questo risultato.

In particolare, ECRE è preoccupata dalle seguenti modifiche:
- una maggiore flessibilità per gli Stati in caso di arrivi di grandi numeri di richiedenti asilo, con riferimento a: obbligo di registrare la domanda entro 72 ore, autorità responsabile dell'esame, conclusione in principio entro 6 mesi della procedura;
- garanzie più deboli in tema di servizi di interpretariato da fornire al confine o nei centri di trattenimento e accesso di ONG ai suddetti centri al confine;
- l'obbligo di scrivere un "rapporto dettagliato" dell'audizione e non più di trascriverla per intero;
- minori garanzie in tema di assistenza e rappresentanza legale;
- estensione della lista di ragioni procedurali per accelerare la procedura.
 
In maniera crediamo molto corretta, ECRE sottolinea come un miglioramento della qualità delle procedure contribuisce non solo a una maggiore protezione dei diritti, ma anche all'efficienza del sistema nel suo complesso.

Lettura molto consigliata.

"No a sistemi di asilo uniformi" - Il contributo di Francia, Germania e Regno Unito ai negoziati

Con un pò di ritardo, segnaliamo questo documento delle delegazioni di Germania, Francia e Regno Unito presso il Consiglio dell'UE sulle nuove proposte di rifusione delle Direttive Accoglienza e Procedure avanzate dalla Commissione lo scorso 1^ giugno.

Il documento è chiarissimo negli intenti: i Paesi in questione affermano che l'armonizzazione nel campo dell'asilo non può in alcun modo portare alla creazione di sistemi di asilo uniformi, dal momento che ciascun Paese ha i suoi vincoli amministrativi e i suoi principi fondamentali da rispettare.
Le delegazioni sottolineano come i loro Paesi siano tra quelli che ricevono il più alto numero di richieste di asilo al mondo. Il che, onestamente, scandalizza solo fino a un certo punto, essendo anche tra i Paesi più ricchi del mondo...

Le nuove proposte della Commissione sono definite più in linea con le necessità degli Stati e, in vista dei negoziati, non manca la minaccia: se i nuovi testi non rifletteranno le preoccupazioni degli Stati i negoziati saranno difficili e l'obiettivo di creare un sistema europeo comune di asilo entro il 2012 potrebbe essere compromesso

Circa la Direttiva Accoglienza, il nuovo testo dovrebbe contribuire alla buone gestione del "problema dell'asilo" e non dovrebbe rendere la richiesta di asilo più "attraente" o aumentare i costi a carico degli Stati.

Per quanto riguarda la Direttiva Procedure, essa dovrebbe essere chiara, efficiente e sostenibile, garantire un alto livello di protezione, mantenendo al contempo quelle previsioni che permettono agli Stati di combattere l'abuso (definito "dirottamento") delle procedure di asilo.


Vai al Documento delle delegazioni di Francia, Germania, Regno Unito

giovedì 1 settembre 2011

Fuga da situazioni di violenza indiscriminata - Uno studio dell'UNHCR sull'applicazione della Direttiva Qualifiche

L'UNHCR ha pubblicato un lungo e interessante studio, di cui si raccomanda la lettura, sull'applicazione della Direttiva Qualifiche a persone in fuga da situazioni di violenza indiscriminata. In particolare, la ricerca si è concentrata sulle domande di protezione internazionale presentate da cittadini afgani, iracheni e somali (che nel 2010 hanno rappresentato circa il 20% del totale delle domande in UE) in sei dei 27 Paesi UE: Belgio, Francia, Germania, Paesi Bassi, Svezia, Regno Unito.

Lo scopo era di verificare come l'interpretazione e applicazione dell'art. 15 c) della Direttiva Qualifiche risponde ai bisogni di protezione delle persone in fuga da situazioni di violenza indiscriminata in questi Paesi.

L'art. 15 c) della Direttiva Qualifiche prevede che è considerato "danno grave", ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria "la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale."
L'articolo, il cui pessimo testo fu frutto di un evidente compromesso politico, è già stato interpretato (in maniera altrettanto poco chiara come emerge anche da questo studio) dalla Corte di Giustizia dell'Unione europea nel famoso "caso Elgafaji".

La conclusione principale dello studio, basato su analisi della giurisprudenza e interviste con interlocutori privilegiati dei sei Stati analizzati, è che l'applicazione dell'art. 15 c) è fortemente divergente e, in alcuni di questi Stati, tale articolo rappresenta una possibilità di protezione appena marginale, non discostandosi nell'interpretazione prevalente dall'art. 3 CEDU, tuttavia già coperto dalle lettere a) e b) dello stesso art. 15. 
Qual è dunque, si chiede lo studio - rifacendosi anche alla sentenza nel caso Elgafaji -, il valore aggiunto della lett. c)?

Al contrario, secondo l'UNHCR, l'art. 15 c) dovrebbe essere interpretato in maniera ampia, in modo da coprire casi di rischi che potenzialmente riguardano gruppi di persone, così da assicurare che coloro che corrono un rischio reale di subire un danno grave in situazioni di violenza indiscriminata (qualora non siano riconosciuti rifugiati) ricevano comunque protezione internazionale.

Impietosamente, lo studio fornisce anche i dati sul riconoscimento della protezione internazionale in prima istanza negli Stati analizzati. Gli Afgani sono riconosciuti in meno del 10% dei casi nel Regno Unito e nel 62,4% in Belgio. Gli iracheni vanno dal 10,9% nel Regno Unito al 78,5% in Belgio. Ai somali è riconosciuta una protezione internazionale nel 34,3% dei casi nei Paesi Bassi e in quasi il 90% dei casi in Germania.


Vai al rapporto "Safe at last?"
Vai al testo della Direttiva Qualifiche
Vai alla sentenza Elgafaji